Sparanise. Garibaldi mangiò pane e cacio presso la Chiesa di san Vitaliano. La ricostruzione storica dell’avvocato Salvatore Piccolo

(di Salvatore Piccolo) “Ieri il Dittatore non andò a colazione col Re. Disse di averla già fatta. Ma poi mangiò pane e cacio conversando nel portico d'una chiesetta, circondato dai suoi amici, mesto, raccolto, rassegnato
. A che rassegnato? Ora si ripasserà il Volturno, si ritornerà nei nostri campi o chi sa dove; certo non saremo più alla testa, ci metteranno alla coda. Dicono che il Generale lo disse a Mario. E questa deve essere la spina del suo gran cuore che voleva un milione di fucili da dare all'Italia, e l'Italia non diede che ventimila volontari a lui. Questo il testo integrale di Giuseppe Cesare Abba in una delle ultime pagine del libro “Da Quarto al Volturno: Noterelle di uno dei Mille” che attesta la circostanza dell’arrivo e della sosta di Garibaldi a Sparanise. Il libro di Abba riscosse grande successo nel corso degli anni anche grazie alla fortuna che ebbe la spedizione dei mille. Una fortuna ed un successo unico non solo nella storia d’Italia, ma che non ha precedenti in nessuna umana vicenda militare. Come abbiano potuto circa mille uomini, la storiografia ufficiale ne conta 1043, partire su due piroscafi, attraversare il Tirreno, rifornirsi a Talamone, sbarcare in Sicilia e risalire la penisola senza essere sopraffatti ed annientati, resta una avvincente mistero che ha ammantato di mito l’intera vicenda. Molti successivamente hanno scritto di trame organizzate grazie al, neppure tanto nascosto impegno della massoneria che annoverava tra i propri adepti tutti gli esponenti del Risorgimento, Garibaldi ed il Re Vittorio Emanuele compreso. Altri hanno immaginato un possibile interessamento delle potenze straniere , soprattutto l’Inghilterra, affinchè la penisola italiana non fosse solo una espressione geografica, ma unita potesse rappresentare uno stato cuscinetto capace di equilibrare la situazione politica dell’Europa subito dopo il congresso di Vienna. Tutto è possibile e forse è verosimile, compresa la codardia dei vertici dell’esercito borbonico che certamente si fecero trovare colpevolmente impreparati di fronte allo sbarco di Marsala ed alle successive battaglie soprattutto in territorio siciliano. Certamente quella impresa iniziata a Quarto e finita nelle nostre terre e forse proprio nella nostra chiesetta di Sparanise ha rappresentato e rappresenterà ancora per molto agli occhi di chi la guarda con semplicità una vicenda , dai toni romanzati, bella ed avvincente dove il coraggio si fonde con la passione, il mito di Garibaldi e della sua militare invincibilità si confonde con le vicende di quella società meridionale ansiosa di ottenere una propria storia e di avere una propria dimensione nell’Europa che a distanza di 150 anni si avvia a divenire unita. Cosa scrive Abba nella stesura finale del suo testo che a noi interessa? Il racconto inizia il 26 ottobre e descrive, non senza rinunciare ad utilizzare precise figure letterarie, l’incontro tra il Re e Garibaldi... Tutta la pagina del 26 ottobre , dove non è indicato il luogo a differenza delle altre pagine del diario, è dedicata all’incontro, dall’inizio alla fine dell’incontro stesso. Il giorno successivo 27 ottobre Abba appone di fianco alla data il luogo che indica in Sparanise e divide la notarella in due parti, la prima contente delle riflessioni dell’autore relative all’incontro verificatosi il giorno prima quale la freddezza del Re nell’incontro con il Generale e le motivazioni di tale freddezza, mentre la seconda parte che inizia con “Ieri” racconta della mancata colazione del Re con Garibaldi e dell’invece amaro boccone che fuor di metafora mangiò Garibaldi a Sparanise “conversando nel portico d'una chiesetta, circondato dai suoi amici, mesto, raccolto, rassegnato”. Sulla vicenda della colazione nella chiesetta dobbiamo a questo punto citare un’altra importante fonte storica, forse meno nota e fortunata rispetto a quella di Abba, ma altrettanto importate. Ci riferiamo al libro “La camicia rossa” scritto da Alberto Mario. Alberto Mario come Cesare Abba fu anche egli uno dei mille, anzi insieme a Nullo, Zasio e Canzio, fu uno dei luogotenti di fiducia di Garibaldi che aveva di frequente l’onore di dormire con il Generale e di curarne la personale sicurezza. Alberto Mario, di nobili origini, era stato un fedele seguace di Mazzini e quindi di stretta osservanza repubblicana, prima della spedizione dei mille aveva già patito l’esilio ed il carcere ed aveva incontrato una donna inglese, che aveva sposato nel 1848, colta e di animo liberale, Jessie White, che lo aveva seguito anche nella spedizione dei mille dove si dava da fare come infermiera. Il testo di Alberto Mario intitolato, la camicia rossa, viene pubblicato per i tipi di Edoardo Sonzogno, editore all’epoca tra i migliori, nel 1875 quindi prima che Abba dia alle stampe la sue prime memorie. E’ un libro strutturato diversamente, sempre con ordine cronologico, diviso in sei capitoli e scritto adottando una tecnica letteraria molto più ricercata, per le citazioni classiche frequenti, rispetto a quello di Abba. Tuttavia anche questo testo ripercorre tutta la vicenda dei mille. Proprio all’ultimo capitolo denominato “addio” anche Mario ricorda lo storico incontro e racconta che di buon mattino il Re incontrò Garibaldi nei pressi di Teano, in un incontro che certamente non avvenne per caso. Proprio Mario ricorda di aver affiancato sino ad un tratto Francesco Nullo, incaricato da Garibaldi di portare un dispaccio al Re che il giorno del 25 ottobre dormiva a Venafro. Il Re in tenuta da notte ricevette Nullo ed annunciò l’incontro per l’indomani. Quel 26 ottobre era quindi naturale l’attesa, che ben descrive Mario, dei garibaldini per l’incontro con il Re che doveva certamente portare ad un chiarimento sul futuro della spedizione dei mille e di coloro che vi avevano partecipato. Invece l’incontro avvenne di buon mattino nei pressi di Teano dove Garibaldi con pochi e fidati uomini, certamente Nullo, Mario, Zaiso e Canzio, i luogotenenti militari personali, e sicuramente anche Abba ed altri e decise di attendere il Re che era diretto da Venafro a Teano. Alberto Mario chiarisce che l’incontro durò pochi minuti e che “Sua Maestà favellò del buon tempo e delle cattive strade, intercalando le considerazioni con rauchi richiami e con alcune ceffate al nobile corsiero irrequieto. Indi si mosse. Garibaldi gli cavalcava alla sinistra, e a venti passi di distanza il quartiere generale garibaldino alla rinfusa col sardo. Ma a poco a poco le due parti si separarono, respinta ciascuna al proprio centro di gravità; in una riga le umili camicie rosse, nell'altra a parallela superbe assise lucenti d'oro, d'argento, di croci e di gran cordoni. Se non che, immezzo alla vanità di queste umane grandezze sorgeva in atto benigno e vestita di realtà l'idea d'una buona colazione che i regî cuochi precorsero ad imbandirci presso Teano.” ( ). Anche Mario, quindi, ormai credeva di poter pranzare con il Re in quel di Teano, ma Garibaldi rifiutò e, prosegue Mario, “Al ponte d'un torrentello che tocca Teano, Garibaldi fece di cappello al re; questi proseguì sulla strada suburbana, quegli passò il ponte, e separaronsi l'un l'altro ad angolo retto.Noi seguimmo Garibaldi, i regi il re.”. Appare evidente che il torrentello in questione è il fiume Savone e che Garibaldi si dirige verso sud, mentre il Re entra in Teano dove sarà ospitato nel palazzo del duca di Santagapito e dove poco prima dell’arrivo del Re avviene uno scontro a fuoco con soldati borbonici. Accade infatti che in Teano e proprio a palazzo Santagapito aveva alloggiato il generale borbonico Salzano. Il generale indeciso se trattare la resa o unirsi agli altri borbonici nelle ridotte di Capua e di Gaeta, scelse una terza via. Attese a Teano con un discreto( ) seguito militare la discesa delle truppe sabaude preferendo mercanteggiare con il Re la resa piuttosto che con Garibaldi che da poco aveva attraversato il Volturno all’altezza di Formicola... Garibaldi è quindi diretto oltre Teano, passando il fiume Savone in direzione Nord. A questo punto le fonti storiche consultate e nella specie i i testi di Abba (Da Quarto a Volturno – notarelle di uno dei mille) e di Mario sono concordi nel ritenere che il Re si dirige a Teano dove sta per essere imbandita una colazione “reale” e Garibaldi seppur invitato alla colazione con il Re, rifiuta, inventandosi con il re un pretesto, “Disse di averla già fatta” (Abba, opera da ult. Cit). Sia Mario che Abba sono ulteriormente concordi nel raccontare che il Generale consuma un frugale pasto locale con piccole variazioni sul tema. Abba ricorda che il generale “mangiò pane e cacio conversando nel portico d'una chiesetta”, mentre Mario riporta della frugale colazione un resoconto più dettagliato con qualche passaggio che è utile riportare in questa sede per comprendere i costumi e gli usi dell’epoca. Narra Mario : “Entrai nella stalla con Missori, Nullo e Zasio, e vi trovai il dittatore seduto su una pancuccia, a due passi dalla coda del suo cavallo: stavagli davanti un barile in piedi, sul quale gli fu apprestata la colazione. Una bottiglia d'acqua, una fetta di cacio e un pane. L'acqua per giunta infetta. Appena ne bevve egli alcun sorso, la sputò dicendo tranquillamente:—Dev'esservi nel pozzo una bestia morta da un pezzo.”… tratto da Salvatore Piccolo: "Garibaldi a Sparanise. Fine dell’impresa dei Mille sotto il portico di una chiesetta" agosto 2021

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