Trentola Ducenta. 35 anni dalla morte di Tobia Andreozzi vittima innocente delle Mafie

Trentacinquesimo anniversario dell’assassinio di Tobia Andreozzi, giovane ragioniere di trentuno anni ucciso il 30 agosto 1990 a Trentola Ducenta in un agguato camorristico, intende ribadire la necessità di trasformare la memoria delle vittime innocenti in impegno civile e responsabilità educativa. Andreozzi, estraneo a qualunque dinamica criminale, venne colpito soltanto perché si trovava accanto al vero obiettivo dei sicari, il suo datore di lavoro Francesco Di Chiara, anch’egli assassinato. La sua morte, insieme a quella di tante altre persone innocenti, costituisce una ferita ancora aperta nel tessuto democratico del Paese. A distanza di tre decenni, la provincia di Caserta continua a registrare la presenza pervasiva della criminalità organizzata, che, pur colpita duramente da azioni giudiziarie e dalla detenzione di numerosi esponenti di vertice, ha dimostrato una costante capacità di rigenerarsi. I clan camorristici, e in particolare la struttura storicamente riconducibile ai Casalesi, hanno progressivamente mutato strategie, privilegiando l’infiltrazione nell’economia legale e nelle istituzioni locali rispetto alla mera violenza armata. Si tratta di un fenomeno che, sebbene meno visibile, produce effetti profondi e destabilizzanti sull’ordinamento democratico, minando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e compromettendo il libero esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti. In questo contesto, il sacrificio di Tobia Andreozzi assume un significato che va oltre la dimensione individuale, poiché richiama l’attenzione sulla condizione di vulnerabilità cui è esposto l’intero corpo sociale quando la criminalità si arroga il potere di decidere arbitrariamente della vita delle persone. La sua vicenda diventa paradigma della violazione estrema dei diritti fondamentali e simbolo della necessità di consolidare strumenti efficaci di prevenzione e di educazione. È alla scuola, in primo luogo, che spetta il compito di costruire tale argine. L’istituzione scolastica non deve limitarsi a essere luogo di istruzione, ma deve configurarsi quale presidio permanente di legalità sostanziale. Attraverso la conoscenza delle biografie delle vittime innocenti, l’educazione ai diritti umani e la pratica quotidiana della cittadinanza attiva, la scuola ha il potere di sottrarre i giovani alle lusinghe della criminalità organizzata e di indirizzarli verso modelli di vita fondati sul rispetto, sulla solidarietà e sulla dignità della persona. Questo compito risponde direttamente all’articolo 3 della Costituzione, che impone di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale e culturale che impediscono il pieno sviluppo della persona, e trova ulteriore fondamento nei principi affermati dalle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani, con la consapevolezza che la memoria di Tobia Andreozzi e di tutte le vittime innocenti non possa esaurirsi in un rito, riafferma l’impegno a promuovere percorsi educativi e iniziative pubbliche che trasformino il ricordo in responsabilità collettiva. Solo così la memoria diviene strumento di giustizia viva e la scuola si conferma come il più saldo baluardo contro ogni forma di criminalità organizzata. prof. Romano Pesavento presidente CNDDU

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