Storia. Il racconto della strage di fine Ottocento e dell'eccidio di Casalduni e Pontelandolfo nel Sannio beneventano
Garibaldi alla fine del mese di ottobre del 1860 dopo l'incontro nei pressi di Teano con il Re Savoia Vittorio Emanuele II si tirò in disparte e partì per un esilio volontario a Caprera. Soli due mesi prima, dopo lo sbarco dei Mille a Marsala, dai balconi aveva promesso l'uso delle terre civiche ai contadini.Nei mesi successivi la popolazione contadina che aveva creduto in lui al grido di “W Calibardo, Evviva Garibaldi” si rese conto che con l'avvento dei nuovi governanti nulla era cambiato e che tutto restava come prima, se non peggio. Le terre erano sempre nelle mani dei latifondisti e della borghesia agraria, gli intellettuali facevano sempre la vita di corte, con la differenza che adesso si chiamavano liberali, e loro “si puzzavano” sempre di fame, anzi di più.
Così molti contadini finirono per simpatizzare con irriducibili combattenti, partigiani della causa del Mezzogiorno, borbonici, preti, banditi e briganti. Tutti accomunati dall'odio contro gli stranieri piemontesi.
Alla fine dell'inverno con la semina la situazione fu chiara a tutti: i proprietari terrieri, i ricchi e i vecchi baroni pretendevano diritti anche sui terreni confiscati alla Chiesa. In estate, quando i latifondisti iniziarono a vessare peggio di prima i braccianti, pretendendo la maggior parte del raccolto, i contadini fame per fame, morte per morte abbracciarono la causa della resistenza all'invasore, al grido “o piemontese avimma caccià”.
Così, quando a Pontelandolfo un commando di briganti scese dai monti intimando al sindaco 'piemontese' di abdicare, i contadini gridando “Libertà, liberta!” furono ben felici di liberarsi dei ricchi, dei proprietari terrieri e delle persone a guardia di quegli interessi. Fu rivolta: era il 7 agosto e la processione religiosa si trasformò in orgoglio nazionale. Briganti e popolani si diressero verso la casa comunale occupandola, furono distrutti i ritratti di Vittorio Emanuele II; risparmiati quelli di Garibaldi, i documenti dell'anagrafe e i registri piemontesi furono distrutti. Poi fu caccia all'uomo, il primo a cadere fu l'esattore della tasse piemontesi, le case e le proprietà dei ricchi furono saccheggiate e bruciate.
I rivoltosi si spostarono nei comuni delle vicinanze; a Casalduni e a Campolattaro bruciò ogni vessillo tricolore con al centro lo stemma sabaudo. La folla si impadronì di armi e munizioni. I piemontesi e i collaborazionisti napoletani furono fatti prigionieri.
A Casalduni il sindaco di estrazione contadina si schierò con il popolo; diede ai briganti assistenza in cambio dell'ordine pubblico e della sorveglianza dei prigionieri.
Qualche giorno dopo, l'11 agosto, giungevano da Campobasso una quarantina di uomini guidati da un tenente con il compito di ristabilire l'ordine. Furono accolti a legnate dalla folla e un militare fu ucciso dai popolani; gli altri disarmati e spaventati si rifugiarono nella torre ex baronale, dove si barricarono in attesa di rinforzi. Il vice sindaco fece avere loro armi e munizioni da usare per impaurire la folla. Ma la folla quando è affamata non ha paura: la torre fu presa, i militari fatti prigionieri e il vicesindaco legato ad un albero e ucciso a colpi di zappa.
Sindaco e briganti convennero che non era il caso di uccidere i prigionieri: erano dei semplici esecutori di ordini, ma la folla non volle sapere ragioni, anche perchè dall'alto della torre i piemontesi avevano sparato sui popolani. Così i 45 piemontesi furono dati in pasto alla folla affamata di sangue; furono giustiziati in un largo e per risparmiare le munizioni, finiti sotto i colpi di schioppo, di scure, di falce, di zappelle e di pietre e calpestati dagli zoccoli dei cavalli.
La repressione piemontese di stampo nazista non si fece attendere: se la presero con gli inermi, non furono risparmiati neanche i bambini. Il generale piemontese Cialdini diede incarico a tale Pier Eleonoro Negri, ufficiale di famiglia patrizia veneta emigrato in Piemonte, della vendetta.
I briganti si organizzarono come al solito: spostare il campo della battaglia negli anfratti da loro conosciuti come le proprie tasche, imboscate alle colonne di militari e i cecchini sui monti, che dominavano le vie di comunicazione, facevano il resto. A Solopaca Negri con duecento uomini al seguito la sera del 13 agosto chiese al capitano piemontese della Guardia Nazionale altri duecento uomini, per attaccare i briganti. Il capitano fece presente che i briganti erano in tanti e bene armati e che gli avrebbero fatti a pezzi se fossero andati sul loro terreno. Ma lui, indispettito, disse che non era venuto per combattere i briganti ma per punire gli abitanti di Casalduni e Pontelandolfo e si diresse verso il borgo di San Lupo.
Da quel momento qualcuno corse ad avvertire del pericolo il sindaco di Casalduni, Ursini ed iniziò l'esodo dei casaldunesi verso le montagne difese dai partigiani e dai briganti. Gli abitanti di Pontelandolfo non furono avvisati per tempo e non potettero scappare.
Le pallottole dei briganti, che dal buio piovevano sui piemontesi non arrestarono l'avanzata, caddero una ventina di piemontesi, ma il resto entrò in paese e fu mattanza. Dopo una marcia di 13 ore i militari circondarono il paese, in modo da uccidere chiunque cercasse la fuga. Uccidevano e saccheggiavano al grido di soldi, soldi; strappavano gli orecchini dalle orecchie delle donne. Uccidevano gli uomini, violentavano le donne più belle, prima di uccidere anche loro. Saccheggiarono la chiesa, poi raccolsero fieno e legna secca, stipati nella stalle e li accatastarono sugli usci delle case dove avevano rinchiuso i contadini che poterono solo scegliere di morire con una pallottola alle spalle o arsi vivi. Le fiamme dei mobili di legno ammucchiati nella stanze a piano terra distrussero tutto ed arsero vivi gli abitanti, mentre i soldati banchettavano con polli, pane, vino.
Alla fine fucilarono anche i loro informatori che mostrarono ripugnanza per quell'eccidio che si stava compiendo. Dalle alture circostanti gli scampati di Casalduni testimoniavano la violenta repressione.
A Casalduni i militari entrarono sparando all'aria; uno del posto precedeva i soldati, indicando le case da ardere, prima quella del sindaco. I vecchi, e quanti rimasti furono uccisi a colpi di baionetta. Le donne furono stuprate prima di esser assassinate. Il paese fu completamente incendiato. Dalle alture i briganti partigiani osservavano ciò che stava accadendo nei due paesi sanniti. Vedevano tanto fumo, sentivano gli spari dei bersaglieri. Tremila profughi si rifugiarono nei paesi circostanti; il sindaco Ursini fu incarcerato a Benevento.
Con quell'eccidio la strategia dei piemontesi fu chiara a tutti: i Savoia assimilarono ai briganti, i contadini che occupavano le terre. Iniziò così la prima guerra civile italiana che si concluse definitivamente solo alla fine del decennio, con la vittoria piemontese e la morte di chi non abiurava o si sottometteva al nuovo governo dei Savoia. Fu dittatura militare e censura per gli organi di informazione. Le ultime sacche di resistenza furono sconfitte alla fine del decennio; ma già ai tempi della “Breccia di Porta Pia” il Mezzogiorno era sotto controllo. L'ultima appendice di quel periodo di lotta e resistenza , furono i moti del Matese del sammaritano (di Santa Maria Capua Ventere) Errico Malatesta nel 1877. Si tratta di una mobilitazione di stampa anarchico, foraggiata da Maria Sofia, la moglie dell'ultimo Re Borbone: fu occupato il comune di Letino e dati alle fiamme documentazioni, carte catastali e i ritratti del Re Savoia.
I ricchi con abilità e spregiudicatezza usciranno indenni da quegli anni; mentre ai poveri fu riservato un trattamento ben diverso, condannati anche soltanto per aver portato con se in campagna un tozzo di pane.
Il comune di Vicenza da sempre depone una corona di alloro davanti alla lapide che ricorda il conte Pier Eleonoro Negri, il conduttiero dell'eccidio che così dava conto delle sue gesta: “"Truppa Italiana Colonna Mobile – Fragneto Monforte lì 14 Agosto 1861 ore 7 a .m. Oggetto: Operazione contro i Briganti: Ieri mattina all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora. Il sergente del 36' Reggimento, il solo salvo dei 40, è con noi. Divido oggi le mie truppe in due colonne mobili; l'una da me diretta agirà nella parte Nord ed Est, l'altra sotto gli ordini del maggiore Gorini all'Ovest a Sud di questa Provincia. Il Luogotenente Colonnello Comandante la Colonna : firmato Negri".
Testi sull'argomento, utili a capire il contesto storico, sociale ed ambientale nel quale sono maturati gli eventi: “Storia dei moti della Basilicata” del 1860 di Giacomo Racioppi, Lettere Meridionali (1875) di Pasquale Villari, Le novelle di Giovanni Verga “I Galantuomi e Libertà (1883) tratte dalla raccolta Novelle Rusisticane, “I vecchi e i giovani” del 1899 di Luigi Pirandello, “I Vicerè” di Federico de Roberto del 1894 e “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958.
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