Il 15 settembre 1993, Don Peppino Puglisi veniva ucciso dalla mafia. Si aspettava di morire

(di Paolo MESOLELLA) Il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno veniva ucciso dalla mafia Don Peppino Puglisi, parroco del quartiere Brancaccio a Palermo ,vicino al portone della sua casa popolare.
E' stato ristampato dalle edizioni Navarra di Palermo “Pino se lo aspettava”, un libro, scritto grazie alla testimonianza di Pippo De Pasquale, l'amico d'infanzia di don Pino che ha vissuto nel suo stesso palazzo ed è entrato nell'autombulanza e nella sala operatoria mentre moriva. Di Pino conosceva tutto: il padre ciabattino che gli lasciò il tavolo da lavoro, la mamma sarta e i fratelli Tanino e Franco. Don Pino l'aveva sposato e non aveva voluto accettare denaro né aveva voluto partecipare al pranzo di nozze. Il libro è il ritratto di un prete che “emanava serenità” e che credeva nel valore della povertà. La sua unica ricchezza, oltre ai bambini di Brancaccio (ha combattuto tanto per una scuola media a Brancaccio ed ora c'è e porta il suo nome), erano i libri che accumulava ovunque, anche sul tavolo della cucina. Si era dedicato tanto ai bambini che vivevano per strada, per eviare che diventassero dei criminali che la mafia decise di assassinarlo. Il libro di Corvaia, oltre a ricordare il coraggio e la semplicità del parroco di San Gaetano a Brancaccio, ci ricorda, le ore che seguirono il delitto, con i condomini convocati in questura e i subdoli tentativi di infangarne la memoria. Il libro ricorda come la burocrazia municipale abbia impedito che l'appartamento al primo piano di Piazza Anita Garibaldi 5 diventasse un museo in ricordo del parroco che aveva strappato alla mafia i bambini di Brancaccio, e come Pino sia stato povero fino alla fine: sull'ambulanza che lo portava verso l'ospedale, Pippo, guarda le sue scarpe e vede che ha le suole bucate.
Il ricordo di Pippo Spiega Pippo nel libro:” Gli hanno sparato qui, di sera, in Piazza Anita Garibaldi 5, davanti al portone di casa. Io sono uno di quelli che l'ha trovato, e non l'ho lasciato solo, sono stato con lui fino all'ultimo. Pino riceveva molte persone. Era un punto di riferimento spirituale per moltissima gente. Molte coppie gli chiedevano consigli. Era un continuo via vai in casa sua, era sempre impegnato, mai da solo. Noi avevamo in comune il duplex, per risparmiare sulle bollette, e questo mi procurò dei problemi perchè lui faceva e riceveva moltissime telefonate, in continuazione, con gli allievi, con i parrocchiani, ascoltava chiunque avesse bisogno di parlare e gli dava consigli spirituali.... Ma anche a me serviva il telefono e per questa decidemmo di “divorziare” consensualmente, perché non era più possibile continuare così con il telefono. Lavorava tantissimo. Era virtuoso. Viveva con il necessario, l'indispensabile. Per lui la povertà era importante, dava agli altri anche se lui rimaneva senza. Non aveva accumulato alcun bene se non libri... Lo stipendio di insegnante lo investiva nel Centro Padre Nostro. La sua casa la ricordo così: il tavolo del salone pieno, pieno, strapieno di libri, lui mangiava in cucina ed anche il tavolo della cucina era pieno di libri e mentre mangiava leggeva.... Lo ricordo quando mangiava i loti, seduto nel suo angolino della cucina , con il loto sul piatto e lui che lo mangiava con il cucchiaino. Era un prete povero, era solito mangiare dentro la scatoletta del tonno, per non sporcare il piatto, perché poi non aveva tempo di lavarlo. La sua casa era piena di studenti e di giovani che gli volevano bene. Era sempre sorridente, non si è mai lamentato. Non lasciava intendere a nessuno il suo calvario, non voleva destare apprensioni... Parlava piano, con leggerezza, a bassa voce e con grande calma. Emanava serenità. Anche quando era oggetto di atti intimidatori. Lui smentiva sempre. Come quel giorno che lo pestarono a sangue. Come quando un paio di giorni prima dell'omicidio lo incontrai sotto casa, all'ora di pranzo, con il volto tumefatto. Gli chiesi cosa gli fosse capitato. E lui rispose col suo solito sorriso che era caduto ed aveva battuto il viso. Ma io non gli avevo creduto, a me sembravano proprio i segni di un pestaggio. Del resto avevo anche ricevuto telefonate anonime dirette a lui. Minacce di morte che gli avevo riferito. Sbagliavano telefono perché i nostri numeri differivano per una sola cifra. Ma io non pensavo che potessero ucciderlo perché la mafia non aveva mai ammazzato i preti. Ma togliere i bambini alla mafia era qualcosa di più grande di quanto si potesse immaginare. Un qualcosa che per la mafia non poteva essere giustificato. Per questo Pino se lo aspettava si morire. La morte Pippo ricorda i momenti della morte. “Ero rincasato da appena 5 minuti. Erano le nove meno venti. Stavo per sedermi a tavola per cenare quando ho sentito delle voci provenienti dalla strada, proprio dal nostro portone. Mi sono precipitato giù. Ho visto Pino lì, per terra, privo di sensi, disteso come se dormisse, con i piedi verso il portone di casa e le mani incrociate sul petto. Le sue chiavi erano inserite nella serratura del portone. Tutti pensammo che avesse avuto un malore... Invece era stato ucciso. Era il giorno del suo compleanno. Compiva 56 anni. Ripensandoci dopo mi sembrò strano averlo trovato in quella posizione, con quelle mani incrociate sul petto: sembrava posizionato in quel modo da “qualcuno”, sembrava un cadavere dentro una cassa e nessuno dei condomini si era azzardato a toccarlo. Lo hanno spostato. La posizione non era quella di uno che cade a causa di una revolverata alla nuca. Per cui non era caduto nel modo e nel punto in cui si trovava, distente dal portone nel quale aveva già inserito la chiave. Io - continua Pippo – mi sono precipitato sull'ambulanza accanto a lui. Durante il viaggio al “Buccheri”, vicino a casa nostra, gli parlai tutto il tempo, provavo a fargli coraggio. Era la persona più pura che conoscessi, non volevo perderlo. Era un simbolo di integrità, una guida, un esempio. Era qualcosa di prezioso per Palermo, di troppo importante per l'intera comunità. Le suole bucate Lo tenevo per mano, gli toccavo il polso e aveva il battito cardiaco molto debole. Notai le scarpe, aveva le suole bucate, e dire che suo padre era stato ciabattino, ogni tanto le aggiustava anche alla mia famiglia, e anche Pino sapeva ripararle. Ma non aveva avuto il tempo per farlo a causa del troppo lavoro, non aveva avuto il tempo per sé, neppure per quello...”. In ospedale sono entrato con lui in sala operatoria. Hanno cercato di rianimarlo con il defibrillatore. Vedevo il corpo di Pino sussultare tremendamente, senza nessun esito. Non c'era più nulla da fare. Cominciarono a pulire il corpo, e fu allora che scoprirno il foro del proiettile dietro l'orecchio sinistro. Fino a quel momento nessuno aveva capito cosa fosse accaduto. Arrivò il cardinale Pappalardo. E poi vidi il fratello Franco entrare di corsa in sala operatoria per vedere Pino già cadavere. Le dicerie infamanti - Quella stessa notte, intorno alle undici di sera, è arrivata la polizia e ci hanno invitati tutti in questura per interrogarci. Tutti i condomini. Ci interrogarono per famiglia e le domande erano tutte mirate sulla vita personale di Pino. Ci chiedevano se aveva una doppia vita, se riceveva donne, se riceveva uomini. Se aveva un amante. Io avevo la sensazione che cercassero di macchiare la sua figura, cercavano ombre sul suo passato, ombre che non c'erano perché Pino era linpido come il sol”. Ci fecero domande sulla sua vita privata, per almeno due ore. Il Beato e le sue virtù- Il 28 giugno 2012 la Congregazione per le cause dei santi ha promulgato il decreto relativo al martirio di padre Puglisi perché ucciso “in odio alla fede”. E' stato il primo martire di mafia, beatificato il 25 maggio 2013 sul prato del Foro Italico di Palermo, davanti ad una folla di centomila fedeli. “Padre Pino Puglisi, ha detto papa Francesco, è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo”. Il suo postulatore per la causa di beatificazione, Vincenzo Bertolone, ha raccolto in un libro del 2013 (Padre Pino Puglisi Beato, ed. San Paolo) i documenti e le testimonianze che lo stanno portando sugli altari. “Puglisi, spiega, fu ucciso perché sacerdote, uomo di fede, liberamente consapevole dell'eventualità di una morte violenta. Aveva capito che non era sufficiente denunciare l'ingiustizia, ma bisognava dare la propria vita per combatterla”. Don Pino amava il Vangelo di Luca perché ci mostra la grande tenerezza di Dio per noi e l'accoglienza di Gesù per le donne, per i bambini, per i peccatori. E ogni martedì sera, dopo cena, per chi voleva, c'era un incontro per gli adulti in canonica, proprio su quel Vangelo. Dal libro esce di don Pino un ritratto affascinante soprattutto perché scritto da un autore che non prova nessuna simpatia per i preti né per la chiesa, un ateo convinto, “Ma don Pino -scrive - era diverso ed è stato troppo importante per Palermo per rinchiuderlo in uno scatolone di ostilità generalizzata. Non che ami Palermo, ma persone come lui fanno pensare che questo posto potrebbe essere migliore”

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