(di Paolo MESOLELLA) RIMINI Il prete di strada che con la sua associazione in questi anni ha accolto in case -famiglia migliaia di prostitute, tossicodipendenti, alcolizzati, disabili, senza fissa dimora, orfani e salvato vite umane.
( di Paolo Mesolella) Si è aperto sabato 14 settembre il centenario della nascita di don Oreste Benzi, prete degli ultimi, inventore delle “case famiglie”, infaticabile apostolo della carità, come lo definì Benedetto XVI. Il cardinale Zuppi ha presieduto la Messa in cattedrale a Rimini alla quale ha fatto seguito la proiezione del documentario “il pazzo di Dio”. Fino al 9 settembre 2025 saranno tante le iniziative che lo ricorderanno. Don Oreste chi ha lasciati il 2 novembre di diciassette anni fa. “Infaticabile apostolo della carità a favore degli ultimi e degli indifesi, che si è fatto carico di tanti gravi problemi sociali che affliggono il mondo contemporaneo”. Con queste parole Papa Benedetto XVI gli diede il suo ultimo saluto nel telegramma letto dal segretario di stato mons. Tarcisio Bertone durante il funerale del 5 novembre 2007. Diciassette anni durante i quali il ricordo del prete, con la tonaca lisa, educatore e fondatore della comunità Papa Giovanni XXIII, è rimasto indenne nella memoria di tutti, per il suo impegno a favore della vita, dei giovani e delle donne che vendevano il proprio corpo. La sua associazione in questi anni ha accolto migliaia di prostitute, tossicodipendenti, alcolizzati, disabili, senza fissa dimora e salvato vite umane. Tantissime vite e da loro andava personalmente, non delegava. In questi anni la sua associazione si è diffusa in 30 diversi Paesi nel mondo, dando vita a case –famiglia che ospitano prostitute, barboni, nomadi, bambini, malati di mente, alcolizzati, tossicodipendenti e disabili, come in una grande famiglia.
Una vita passata a denunciare “i fabbricanti di morte” e a difendere la vita. Dall’inizio alla fine. Dal grembo materno all’eutanasia. Una protesta controcorrente e difficile. Soprattutto in una regione come l’Emilia Romagna e in città come Bologna e Rimini dove si fermava ogni settimana in preghiera davanti alle cliniche. Finché la sua preghiera davanti agli ospedali non fu estesa a tutta l’Italia. Oltre a pregare gridava al posto di chi non aveva voce: ”Mamma, non farmi a pezzi, salvami!”. In questo modo cercava di convincere la madre che l’aborto era una soluzione non per lei, ma per chi l’aveva abbandonata. Perché, “abortire (lo ha detto Papa Francesco) è come affittare un sicario per risolvere il problema”. Si recava presso le cliniche o gli ospedali di mattina presto, con il megafono in mano. Proprio durante l’orario in cui le mamme entravano per abortire ,si metteva di fronte all’ingresso a testimoniare.
Davanti agli ospedali “Una volta, ricorda don Aldo Bonaiuto, dell’associazione Papa Giovanni XXIII su Avvenire, davanti ad un ospedale arrivò la forza pubblica chiamata dai medici abortisti infastiditi dalla nostra presenza. Chiesero a don Oreste i documenti. E lui nel mostrarli disse con un sorriso disarmante: ”Guardate che state sbagliando, quelli che sopprimono la vita non sono qui fuori, sono là dentro”.
Di sera lungo le strade “Una sera - ricorda Dorina a Pino Ciociola su Avvenire - si ferma un’auto come mille altre ogni notte, ma stavolta qualcuno ne scende, anziché contrattare dal finestrino abbassato per far salire lei. Un uomo che indossa una tonaca vecchia e consumata ed ha un gran sorriso. ”Vuoi venire via con noi? Ti aiuteremo”. Lei ribatte: ”Ma mi ammazzeranno”. E lui: ”Non aver paura, vieni via con noi”. Così Dorina lascia la strada ed entra in una casa famiglia dell’associazione.
Luisa - Un’ altra sera don Oreste andò a cercare Luisa alla stazione. Da solo. “La trovai, spiega, seduta su una panchina, sola, in attesa dei clienti. Mi fermai accanto a lei. Mi sentivo a disagio, non per lei, ma per la gente che passava. Vedevano un prete con la tonaca, seduto accanto ad una prostituta….”. Poi Luisa ha seguito don Oreste, anche se è morta poco dopo di Aids.
Don Benzi, anche lui, batteva le strade di Rimini, Bologna, Ravenna, Verona, Modena, Cesenatico, Faenza, Ferrara, Perugia, Frosinone, la Via Emila, la statale Flaminia, andava persino in discoteca per incontrare ragazze. Incontra ragazze nigeriane, albanesi, russe, ucraine, moldave, polacche, bulgare, rumene, brasiliane, cristiane, musulmane e non credenti. Per tutte aveva una parola, due regali (la bibbia, il rosario) ed un invito: ”Vieni via con noi!”.
Un giorno portò con lui anche il vescovo. Scrive nel suo libro “Una nuova schiavitù” : “Una notte di Natale , prima della messa di mezzanotte, andammo con il vescovo sulla strada. Era la prima volta che il vescovo scendeva in strada per andare dalle sue figlie, dove esse consumavano la loro schiavitù e talora anche il loro martirio”.
A don Benzi sono arrivate anche tante minacce da parte dei lenoni. Anche minacce di morte. Le trovava registrate nella segreteria telefonica. Tra le tante ricordava la voce di un italiano che diceva: ”Don Oreste, per lei è meglio vivere che morire, se non la smette…”. E’ un avviso molto serio, gli disse il questore, state attento”.
Nella casa-famiglia di don Benzi ci sono piccoli e grandi, normodotati, portatori di handicap e ammalati, ex tossicodipendenti, ex carcerati, persone con problemi psichiatrici, Nella sua casa famiglia ci sono entrati anche Giuseppina, una sieropositiva che aveva contagiato centinaia di clienti, e donne la cui vita era minata dalla droga, dall’alcol, dalla prostituzione.
La vita - Don Oreste nacque a San Clemente, un paesino a 20 km da Rimini nel 1925, settimo di nove figli, da mamma casalinga e da papà Achille, operaio, spesso disoccupato. “Mio padre , diceva, apparteneva a quella categoria di persone che pensano di non valere nulla, che chiedono quasi scusa di esistere. Quando io incontro il povero, l’ultimo, il disperato, quelli che sono alla stazione, sul marciapiede, in me si rifà presente quell’immagine del mio papà”. A 12 anni entra in seminario a Urbino, dopo tre anni in quello di Rimini. Viene ordinato sacerdote il 29 giugno 1949 a soli 24 anni. Il 5 luglio dello stesso anno viene nominato cappellano della parrocchia di San Nicolò al Porto a Rimini. Nell'ottobre 1950 viene chiamato in seminario a Rimini come insegnante e assistente di Azione Cattolica. È in questo periodo che nasce in lui l’interesse verso gli adolescenti. Nel 1953 diventa direttore spirituale nel seminario di Rimini e vi rimane fino al 1969. Nel frattempo, dal 1953, oltre che in seminario, insegna religione nella Scuola Agraria «San Giovanni Bosco» di Rimini.
La Parrocchia e la nascita della Comunità Papa Giovanni XXIII[ Nel 1959 insegna al Liceo Ginnasio Statale "Giulio Cesare" di Rimini, poi nel 1963 al Liceo Scientifico "Alessandro Serpieri" ed infine nel 1969 al Liceo Scientifico "Alessandro Volta" di Riccione. Nello stesso anno diventa Parroco della chiesa della Resurrezione, in un quartiere della periferia di Rimini che divenne la sua casa fino ad un mese dalla morte, quando andò a vivere alla "Capanna di Betlemme", una struttura di accoglienza per persone senza dimora. Fu proprio dall'incontro con le persone sole ed emarginate, che don Benzi matura l'idea della prima casa-famiglia a Coriano, che viene inaugurata il 3 luglio 1973. Negli anni successivi la sua Comunità Papa Giovanni XXIII si diffonde in più di trenta Paesi nel mondo. E lui dedica ad essa il resto della sua vita.
Morte - Alla fine di settembre 2007 si trasferisce alla "Capanna di Betlemme", la casa della Comunità Papa Giovanni XXIII che accoglie i senza fissa dimora a Rimini. Le sue giornate sono intense, scandite tra viaggi ed incontri continui. Al ritorno dall’ennesimo viaggio in Puglia, a Roma, la sera del 31 ottobre 2007, all’aeroporto di Fiumicino viene colpito da un infarto. Ciò nonostante rifiuta di ricoverarsi perché atteso in una discoteca di Mercatino Conca per una festa alternativa ad Halloween organizzata dai giovani della diocesi di San Marino -Montefeltro, presente anche il vescovo Luigi Negri.
Ma il 2 novembre 2007 alle 2.22 , in seguito a un nuovo attacco cardiaco, muore nella canonica della sua parrocchia a Rimini. Aveva 82 anni. Al suo funerale parteciperanno più di diecimila persone, anche tanti che, grazie a lui, avevano scampato l’aborto.
Scrisse a commento della prima lettura di quel giorno: “Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all'infinito di Dio” ( Pane Quotidiano, n. 6 – 2007) I funerali, celebrati dal vescovo Francesco Lambiasi, si tennero al Palacongressi di Rimini per permettere a tutti, soprattutto agli “ultimi” , di partecipare. Grazie al suo sorriso e alla sua bontà, infatti, è stato uno dei più amati preti del nostro tempo.
Processo di beatificazione Il 27 ottobre 2012, a cinque anni dalla morte, avvenuta il 2 novembre 2007, al termine del convegno “Don Oreste Benzi, testimone e profeta per le sfide del nostro tempo”, il responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII, Giovanni Ramonda, consegnò al vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, la richiesta di avvio della Causa di canonizzazione di don Oreste. L’8 aprile 2014 mons. Lambiasi, dopo aver ottenuto il nulla osta a procedere dalla Congregazione delle cause dei santi e il parere positivo dalla Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna, promulgò il decreto di introduzione della causa del Servo di Dio. Il 27 settembre 2014 poi, fu celebrata la prima sessione pubblica del Tribunale ecclesiastico nella Chiesa de “La Resurrezione” a Rimini. Alla fine saranno svolte 151 sessioni svolte, con 131 testimoni. Tantissimi i documenti esaminati dalla commissione teologica e da quella storica: lettere, articoli di giornali, libri, meditazioni, scritti interni alla Comunità.
131 testimoni Il 23 novembre 2019, quindi, dopo cinque anni di lavoro, si conclude la fase diocesana, della causa di beatificazione di don Oreste. I documenti raccolti vengono inviati alla Congregazione delle cause dei santi presso la Santa Sede . I lavori del tribunale diocesano sono coordinati da don Giuseppe Tognacci che ha ascoltato i testimoni. Mentre la postulatrice Elisabetta Casadei consegna al vescovo la richiesta di aprire la causa di beatificazione con lettere inviate da 9 cardinali, 41 vescovi italiani e 11 vescovi stranieri. Trenta scatoloni di documentazione.
Il prete di strada Don Oreste si è distinto per l'attenzione prestata ai più emarginati, a quelli che chiamava "gli ultimi" definendoli "coloro ai quali nessuno pensa. E se ci pensa, pensa male.". Diceva:” Le cose più importanti non le ho imparate dai libri, ma dalla vita, dal contatto con la gente, coi poveri. I poveri sono davvero i miei migliori maestri” (Con questa tonaca lisa, 1991)
Aveva una grande disponibilità a farsi carico dei bisogni delle persone. Il suo modo di agire era diretto e spregiudicato: scendeva in piazza con i senza casa, incontrava i giovani in discoteca, andava a cercare le prostitute sulla strada e le mamme fuori dagli ospedali e le cliniche. Considerava la prostituzione una forma di violenza sulle donne di cui erano responsabili i clienti.
“Se non ci fosse la domanda, diceva, non ci sarebbe l’offerta. Se gli italiani non chiedessero prestazioni sessuali a pagamento, non ci sarebbe la tratta delle donne che vengono schiavizzate e forzate, da criminali a dare le prestazioni sessuali . Questi milioni di donne, colpite dalla schiavitù, dalla disoccupazione, dalla fame, dalla guerra, sono le vittime di una società disumana.
I suoi libri - Con questa tonaca lisa. Fra i drammi e le violenze della società opulenta ( 1992, Guaraldi), “Contro l'ovvio dei popoli. Provocazioni su droga, comunità terapeutiche”,(1992 Guaraldi) , “Per la famiglia - La coppia oggi”, (1992, Guaraldi) Il meraviglioso dialogo della vita” (1995), Scatechismo” (1999, Mondadori) Una nuova schiavitù. La prostituzione coatta”, (1999, Paoline) Non posso tacere”, (1999), “Trasgredite!”, (2000, Mondadori)Prostitute. Vi passeranno davanti nel ragno dei cieli” (2001, Mondadori),Ho scoperto perché Dio sta zitto” (2002 Mondadori), “Perché Dio non perde la pazienza” (2003)Gesù è una cosa seria” (2004, Mondadori).
La comunità Papa Giovanni XXIII L’associazione Papa Giovanni XXIII, fondata nel 1968, è stata riconosciuta ufficialmente il 25 marzo 2004, come “associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio”. Il suo scopo, spiegava don Benzi, è “la condivisione diretta della vita degli ultimi, è la nostra via per realizzare in concreto il regno di Dio”. Essa però opera dal 1973, anno in cui aprì la prima casa famiglia in provincia di Rimini. Poi nell’agosto del 1965 nacque la prima casa famiglia all’estero, in Zambia. Oggi è diffusa il 38 Paesi nel mondo, con case in Albania, Australia, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Croazia, Georgia, Kenya, Kossovo, India Israele, Palestina, , Moldavia, Olanda, Romania, Russia, Spagna, Sri Lanka, Tanzania, Uganda, Venezuela, Zambia. Le ultime case- famiglia sono nate in Argentina, Ciad, Uruguay e Ruanda. L’associazione è una grande comunità di 3000 volontari che ogni giorno aiutano 50 mila persone per contrastare la tossicodipendenza, la prostituzione, la tratta delle donne e dei bambini, l’emarginazione sociale, l’aborto e la disabilità. Un’associazione che ha già liberato 15 mila prostitute, (spesso bambine), dalla strada, solo in Italia. Ha accolto migliaia di ragazzi tossicodipendenti, disabili, uomini di strada, ex carcerati e persone senza fissa dimora. Recentemente ha fondato a Volgograd in Russia, una casa per ex carcerati e tossicodipendenti, una mensa per i poveri in Cile ed una casa di accoglienza per bambini soli a Bujumbura in Burundi.
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