Caserta. La Mafia Nera di Castel Volturno, l'inchiesta

Su un quotidiano di Caserta di oggi si trova una inchiesta sulla mafia nera e sulle cosiddette connection house a Castel Volturno. In questi mesi sulla stampa ci sono stati vari articoli dedicati ai bambini soli sui barconi della disperazione, che aumentano sempre in quanto separati dalle famiglie lungo il viaggio o spesso partiti da soli dai vari paesi africani per sfuggire dalla miseria e dalla violenza in cerca di un futuro migliore. E’ utile completare questa odissea con la narrazione del triste loro epilogo. Infatti, alla fine del loro esodo e dopo aver attraversato il deserto della Libia ed il Mediterraneo tra dure sofferenze, tanti di questi minorenni finiscono in alcuni dei luoghi più degradati, fonte di una vera piaga sociale: le cosiddette connection house, gestite dalle maman, sparse nelle case e nelle villette (spesso abbandonate) lungo i viali della costa domiziana, da Mondragone a Ischitella, con una forte concentrazione a Castel Volturno, che non a caso viene definita una sorta di enclave dell’Africa in Europa. Basta vedere il traffico che scorre lungo la via Domiziana, con tanti veicoli guidati dalle stesse maman o dai caporali dei lavoratori per lo più addetti all’edilizia o nei campi di pomodoro in estate (ed anche negli allevamenti bufalini). Negli ultimi anni è emersa una impressionante novità che attesta il doppio livello su cui operano le camorre. Infatti si è andata intensificando una forma di collaborazione di scambio tra i clan locali con quelli delle varie mafie, da quelle provenienti dai paesi dell’est fino a quelle di estrazione africana, come la mafia nigeriana. Da varie ricerche sul campo e scritti, come i racconti fatti da Roberto Saviano, da Sergio Nazzaro e da Alfonso Reccia (sulla tratta), emerge in modo netto che ormai la mafia nigeriana è diventata una delle più potenti e violente a livello internazionale, molto diffusa e radicata nel nostro paese, con una base d’azione tra le più influenti operativa nella fascia domiziana tra Castel Volturno e l’hinterland napoletano. Appare a tutti evidente che ormai vi è un patto di gestione tra i clan locali e quelli africani, in quanto i casalesi si sono riservati il controllo ed il governo dei flussi finanziari e dei grandi investimenti (con attività sparse nelle varie regioni), mentre ai nigeriani e gahanesi sono stati affidati i lavori più sporchi e duri sul territorio: dal traffico di droga a quelli della prostituzione. Basta girare nei viali sul lungomare per poter scorgere nelle tante villette abbandonate ed occupate abusivamente le cosiddette connection house gestite dalle maman con varie attività criminali, in particolare per crescere ed educare i bambini che qui vengono raccolti dopo essere stati comprati nei loro paesi d’origine. La connection house, uno dei marchi di fabbrica della mafia nigeriana, è un luogo di sospensione della legalità. È una casa divisa in diversi piani, dove si entra per “chiedere” una donna (e in quel caso si sale nelle stanze da letto), o per acquistare armi e droga, per giocare d’azzardo o semplicemente per mangiare cibo africano cucinato dalle cosiddette Maman, figure chiave che raccolgono i soldi e controllano e gestiscono le ragazze quotidianamente. Nei racconti dei collaboratori di giustizia, le connection house sono anche i punti di intermediazione di commerci irriferibili, come quelli degli organi umani, un traffico gestiyo dai “Black Axe”, a livello internazionale. In merito bisogna precisare che sotto la parvenza di case di accoglienza e di cura si nasconde ben altro: un vero inferno di violenza e di perdizione, gestito da donne terribili come le maman. In questi luoghi si esercita la tratta delle donne per la prostituzione. Alle bambine che vengono comprate nei loro villaggi sperduti in Africa, viene trasmesso un solo valore: quello secondo cui l’unica ricchezza, l’unico tesoro per il loro futuro è il loro corpo, la loro bellezza fisica e sessuale, con il rito ancestrale dello juju, che è uno degli ingredienti della coercizione che tiene migliaia di donne e ragazze nigeriane incatenate alla schiavitù sessuale in Italia e in Europa. Mentre per i bambini maschi c’è l’addestramento al traffico e spaccio di droga, in quanto se vengono presi dalla polizia non possono essere arrestati essendo minorenni. Lungo la fascia costiera domiziana da Mondragone fino Licola e nei viali sul lungomare e nelle tante villette abbandonate, per lo più occupate abusivamente, prolifera questa organizzazione criminale. Nella zona tutti conoscono questo fenomeno e sanno bene quello che avviene nei meandri di quelle tristi abitazioni, centri di un meticciato multiculturale e multiuso. Ma tutto continua a procedere nel silenzio e nell’indifferenza colpevole. Nemmeno le istituzioni e le forze dell’ordine, che dovrebbero garantire la legalità e tutelare la sicurezza dei cittadini – intervengono con determinazione e con forza per smantellare queste organizzazioni criminali, nonostante le denunce documentate che in questi anni sono state fatte in vari organi di stampa e sui social, come anche in tanti scritti e saggi (basta quello scritto da Sergio Nazzaro intitolato proprio la mafia nigeriana). Per la verità nemmeno le associazioni attive sul territorio sembrano prestare molta attenzione su questo fenomeno. Pasquale Iorio Le Piazze del Sapere

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